Riviviamo i momenti salienti del primo successo dell’era Berlusconi. Tra il 1986 e il 1987 la società opera in grande per il futuro.
© foto di Luigi Gasia
A distanza di 25 anni da quel pomeriggio sul lago di Como, 15 maggio 1988, in cui la squadra guidata da mister Sacchi conquistò matematicamente il tricolore dopo l’entusiasmante rush finale che l’aveva vista superare il Napoli di Maradona dopo averlo battuto due settimane prima in casa sua, ci pare giusto rivivere i momenti chiave di quella stagione, fondamentale per la storia del Milan, che dopo anni di guai passati tra retrocessioni e dissesti societari, grazie all’avvento di SIlvio Berlusconi stava iniziando a costruire i primi mattoni della sua fortezza.
Tutto comincia sul finire della stagione 1986-87, la prima ‘intera’ per il nuovo presidente rossonero, che da tempo ha deciso di accantonare il ‘Barone’ Liedholm; lo stile soft del mister svedese, pure leggenda milanista sia come giocatore che come allenatore, non è decisamente quello che il patron del gruppo Fininvest vorrebbe inculcare nella sua avventura calcistica. La squadra, pur rinforzata in estate da Giovanni Galli (reduce dalla sfortunata esperienza azzurra al mondiale messicano), Daniele Massaro, Roberto Donadoni (strappato alla Juve tra lo stupore generale) e Beppe Galderisi, in campionato fatica anche a tenere il passo della zona Uefa, e così a poche giornate dalla fine Liedholm viene esonerato, e sostituito da Capello che riuscirà a conquistare la qualificazione europea in extremis, battendo a Torino la Sampdoria in un duro spareggio.
Ma se sul campo i risultati non arrivano, è dietro le quinte che la società rossonera sta facendo le cose in grande: la decisione di congedare i due inglesi Wilkins e Hateley è ormai nota a tutti, essendo più che avanzate le trattative che avrebbero portato nella stagione seguente a Milano i due più promettenti talenti europei del momento, provenienti dalla patria del calcio totale, l’Olanda: si chiamano Ruud Gullit e Marco Van Basten; il primo è un possente centrocampista d’attacco originario del Suriname, originariamente libero, che nel Psv Eindhoven sta facendo sfracelli. Anche per Gullit il Milan deve vedersela con la Juventus, ma il ‘Tulipano nero’ ha già da tempo capito che con l’addio di Platini il ciclo d’oro bianconero è finito e che, dunque, è bene sposare una causa motivata e ambiziosa come quella del Diavolo, più che mai deciso a tornare a primeggiare. Van Basten, invece, è un altro prodotto di quell’inesauribile vivaio di campioni che è l’Ajax di Amsterdam, designato erede legittimo da Johann Crujff in persona. Vincitore della Scarpa d’oro l’anno prima, anche su lui gli occhi di gran parte dei club europei. Ma a differenza di Gullit, pagato la bellezza di 13 miliardi, cifra spropositata per gli standard del calcio di quegli anni lontano dalle follie dei giorni nostri, l’acquisto di Van Basten rimarrà probabilmente il più azzeccato investimento di sempre del Milan: in pratica, essendo in scadenza di contratto (non c’era ancora la sentenza Bosman che avrebbe consentito dieci anni dopo di acquistare a zero spese gli svincolati) l’indennizzo da corrispondere ai ‘lancieri’ è di poco inferiore ai due miliardi di lire.
Trovati gli interpreti (per parafrase un noto recente spot di cui egli stesso è stato recentemente protagonista) non resta che individuare chi sarà il regista di questo film che dovrebbe cambiare per sempre la concezione del calcio in tutto il mondo. E anche qui l’intuito del presidente Berlusconi si rivelerà azzeccato, per quanto a prima vista appaia un vero e proprio azzardo: in Coppa Italia, dove il Milan si è dovuto scontrare due volte con il suo Parma e altrettante volte è stato clamorosamente battuto in casa, il Cavaliere è rimasto folgorato dal gioco dell’allenatore degli emiliani; il suo nome è Arrigo Sacchi, allora poco più che quarantenne, una deludente carriera da calciatore e poi, come mister, anni di gavetta nelle serie inferiori, con l’apparente prospettiva di non riuscire mai davvero a ‘sfondare’..fino a quell’incontro che avrebbe cambiato la vita di tutti. Di Sacchi. Di Berlusconi. Del Milan.
In quel momento, in verità, l’allenatore di Fusignano sarebbe in parola con la Fiorentina, ma l’amico Ettore Rognoni, oggi deus ex machina di Mediaset Sport, lo convince a raggiungere anzichè la tenuta dei Pontello, proprietari del club viola, Arcore, dove Berlusconi gli illustra il suo progetto: un Milan che non solo dovrà vincere, ma anzitutto esprimere un gioco spettacolare sempre e comunque, creando anzichè distruggere come da prassi made in Italy.
Da Parma giungono anche tre giovanotti che quel mister aveva brillantemente guidato in gialloblù: Roberto Mussi (che dovendo contendere il posto da titolare a un certo Mauro Tassotti dopo due anni capirà che per lui non c’è spazio a Milano e preferirà accasarsi prima al Torino e poi tornare al Parma, costruendo lì la sua fortuna), Mario Bortolazzi (già transitato due anni prima dalle parti di Milanello senza troppa fortuna, anche lui ben presto accantonato) e Walter Bianchi, un ragazzo molto promettente che però la sfortuna colpirà negli anni con una serie spaventosa di infortuni che gli impediranno di spiccare il volo.
La campagna acquisti-cessioni 87-88 è completata dal centrocampista dell’Udinese Angelo Colombo e, con un ennesimo coupe de theatre, dall’acquisto dalla Roma di Carletto Ancelotti, arrivato alla bella età dei 30 anni e ritenuto dalla critica e dalla tifoseria capitolina ormai in declino dopo gli anni ruggenti scanditi dallo scudetto 83 e dalla finale di Coppa dei Campioni persa in casa contro il Liverpool. Anche queste convinzioni si riveleranno sbagliate.
Scetticismo, dicevamo: non sono in molti a scommettere nel successo di quello sconosciuto tecnico di provincia, che metteva per la prima volta piede in serie A; ed in molti auspicavano che non ‘avrebbe mangiato il panettone’ a Milano, perchè la società l’avrebbe esonerato molto prima.
Ma le prime amichevoli estive e i primi match ufficiali di Coppa Italia, dove i due nuovi acquisti olandesi si integrano subito alla perfezione segnando a raffica, sembrano mettere il silenziatore agli scettici, anche se per il campionato non sembra ci sia molto da fare, venendo dato per grande favorito ancora una volta il Napoli di Maradona campione uscente.
La squadra è comunque vicina al nuovo mister, malgrado qualche scaramuccia (come quando, mostrando ai suoi nuovi giocatori una partita del suo Parma, Sacchi ‘invita’ capitan Baresi a prendere esempio da Beppe Signorini, allora perno della difesa gialloblù, purtroppo scomparso da anni a causa di una brutta malattia; o come quando, fiutando prevenzione all’inizio del ritiro, Sacchi sbotta dicendo “Vengo da Fusignano, ma voi cosa avete mai vinto in vita vostra, dopo anni che il Milan non va oltre il quinto posto?”). E così arriva il giorno del debutto in campionato, all’Arena di PIsa, il 13 settembre 1987, contro la squadra nerazzurra, neopromossa in A e guidata da Beppe Materazzi, padre di quel Marco poi avversario in tanti accesi derby; nel Pisa gioca quel Mario Faccenda che, sei anni prima, aveva spedito i rossoneri in B segnando il ‘famoso’ gol in Napoli-Genoa che aveva permesso ai genovesi di scavalcare il Milan di un punto all’ultima giornata. Ma non c’è tempo per i brutti ricordi, il Milan vuole guardare al futuro e il Milan passa in vantaggio con Donadoni dopo pochi minuti, ma nella ripresa viene raggiunto da Cecconi. Nel finale ci pensano gli olandesi, prima Gullit con un bel colpo di testa e poi Van Basten su rigore, a regalare il primo successo. Tutto sembra volgere dunque al meglio per l’armata Sacchi, ma gli imprevisti e le difficoltà sono, in realtà, molto più vicini di quanto si possa pensare.
1- continua