Prendono l’Impero a picconate

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Giornalista sportivo a Mediaset dove cura “Sport Mediaset XXL”. Opinionista a “Novastadio”. I suoi libri: “Soianito”, “Calcinculo”, “La vita è una”, “Sembra facile”, “L’oro di Sheva”.

18.04.2014 00:00 di Luca Serafini Twitter: @lucaserafini4  articolo letto 2018 volte

© foto di Pietro Mazzara

Chi da qualche anno cerca di denunciare il drastico, pericoloso cambio di rotta della nave viene considerato un eretico, un  dissidente “non evoluto”, un tifoso della Fiorentina, un pazzo profeta dei media e dei social, un amico interessato di giocatori, addetti stampa e uffici marketing del Portello a seconda che siano schierati con Barbara o con Galliani. Squallido metro di giudizio. Nessuna triste analisi, nessuna spietata critica purtroppo è servita a far capire a qualcuno quanto il Milan venga preso a picconate nella filosofia, nello stile, nelle strategie che lo hanno contraddistinto per 5 lustri in cima all’Italia, all’Europa e spesso al mondo. 

Da troppi anni affidata agli stessi comandanti ormai corrosi da lotte intestine per il tesoro di bordo, la splendida nave che ha solcato imperiosa tutti i mari piatti e in tempesta sconfiggendo le flotte nemiche con orgoglio e potenza, si sta trasformando in una bagnarola sforacchiata dal fuoco amico arenandosi in una rada senza acqua. A bordo brucia.

La devastazione ha radici profonde attecchite negli interessi e nei disinteressi personali, nella demenza senile, nelle epurazioni di facciata che hanno visto l’ultima vittima sacrificale in Ariedo Braida (pensate un po’…), nelle farneticanti valutazioni di rose #ultracompetitive, nei blablabla su ipotetici scudetti di bilancio e Champions di fairplay salvo poi scoprire che ancora una volta le perdite (perdite? Ma come…?) sono state ripianate dalla holding di famiglia. Del resto in quello che è stato per 30 anni il giardino della comunicazione, ormai da tempo sono fiorite balle non di fieno ma di cattivo gusto, menzogne più urticanti della gramigna su cui crescono e si moltiplicano insetti e parassiti di ogni specie. Ci vorrebbe un macete per farsi largo dal cancello del giardino alla porta del palazzo.

L’ultimo vergognoso capitolo nella sconcertante guerra dei Roses con gli eredi Berlusconi da una parte e Adriano Galliani dall’altra (altra farsa le dichiarazioni di ritrovata serenità e unione, #chevvelodicoaffà) è la guerra frontale a Clarence Seedorf. Ridono tutti i non milanisti: dopo una striscia di 4 vittorie e un pareggio, dopo il bottino inatteso di 13 punti in 5 partite, scatta l’ultimatum all’allenatore. Come se al comando ci fosse uno Zamparini o un Cellino qualsiasi. Nemmeno il geniale Emir Kusturica saprebbe scrivere un finale così sorprendente in una grottesca commedia. Date un pizzicotto ai milanisti perché pensano di avere gli incubi. Massacrano un allenatore perché ha fatto in 3 mesi e mezzo più punti del predecessore, ha dato una parvenza di gioco, finalmente un minimo di resistenza fisica, uno straccio di orgoglio a una squadra che ha la personalità di un criceto. Seedorf e stato scelto nell’ottobre 2012 da Silvio Berlusconi in persona, anche per ridare una credibilità milanista a uno spogliatoio che l’aveva smarrita nei modi e nella sostanza. Ora nessuno è così coglione da non aver capito come l’orchestra sia diretta da un astuto e navigato maestro con i musicisti cortigiani sparsi in varie redazioni. Questo è l’unico caso al mondo in cui il potere logora sia chi ce l’ha, sia chi non ce l’ha.

Mentre qualcuno come noi, ormai senza capelli e quei pochi bianchi, guarda da lontano Roma incendiata da Nerone prima di girarsi e andarsene malinconicamente, i tifosi dovrebbero invece creare una catena umana per proteggere il loro monumento preso a picconate al tramonto. Prima che sia troppo tardi.

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