Promesse, patacche e minestre riscaldate


José Mauri è finito nel mirino del condor

José Mauri è finito nel mirino del condor

Per chi non è vittima di steccati ideologici, la notizia dell’intenzione – perchè al momento di intenzione si tratta – del presidente Berlusconi di tornare a investire nel Milan non può che rappresentare una leggera ventata di aria fresca dopo anni di asfissia. D’altronde piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Ma – nota bene – i conti si faranno alla fine e al momento si può soltanto prendere atto di parole, frasi e dichiarazioni. Parole, frasi e dichiarazioni che però dipingono, se messe insieme, il puzzle dell’attuale momento rossonero. Innanzitutto dalle esternazioni del presidente sembrerebbe che le fantomatiche cordate asiatiche interessate al Milan non abbiano ancora fatto l’offerta giusta. Sempre che siano davvero intenzionate a investire nel mondo rossonero. Una cosa però è ormai quasi certa: se mai il nuovo partner dovesse arrivare, non arriverà domattina e nemmeno la prossima settimana. In secondo luogo la presa di posizione di Berlusconi e la linea editoriale dei media ufficiali lasciano intendere che almeno un concetto, che noi andiamo ripetendo da anni, è stato metabolizzato: senza soldi non si va da nessuna parte, così come non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Diciamo che si sono arresi all’evidenza. Eppure da quando noi abbiamo iniziato a sostenerlo questi signori ci hanno dato dei tifosi occasionali, degli interisti, dei tastieristi, dei provocatori di professione, dei disfattisti, degli ingrati e degli infedeli. Quando noi scrivevamo che i mercati dei saldi di fine stagione, delle carcasse last minute, delle camarille al ristorante con questo o quel procuratore, dei prestiti, dei prendi tre e paghi uno e dei parametri zero ci avrebbero condotto al disastro sportivo (e anche finanziario, visti i costi di certi ingaggi) ci hanno attaccato, sfottuto, più o meno simpaticamente insultato. Oggi anche quelli là sembrano essere giunti alle nostre conclusioni. Meglio tardi che mai.

Quindi sul fatto che servano urgentemente soldi freschi adesso siamo tutti d’accordo, compreso quello che dovrebbe metterli. Sul fatto che occorra immediatamente rilanciare il Milan, pena il raffreddamento dell’entusiasmo degli sponsor e la cronica mancanza di entrate extra prodotte dalla partecipazione alle coppe europee, pure. Tutta da verificare sono invece le opinioni su come occorra investire e in che direzione. Sia chiaro: a noi il progetto del Milan italiano pare più uno slogan che una trovata efficace. Come principio non è male: in un calcio sempre più globalizzato puntare sull’identità può essere una strada in controtendenza, certamente affascinante. All’atto pratico però bisogna prendere atto che il livello dei calciatori italiani non è eccelso, e i top – ad esempio Verratti – non sono raggiungibili. Il calcio italiano è così indietro che giocatori anziani come Pirlo e Totti sono ancora dei punti di riferimento. Per essere competitivi, tanto per essere chiari, non si può pensare di riempire la squadra di Bonaventura vari. Con tutto il rispetto per il buon Bonaventura. Serve gente di classe, in grado di imporre il salto di qualità, di cambiare le partite, di far girare l’inerzia. Serve gente decisiva. Campioni. Ai quali affiancare buoni gregari, certamente. Ma con i soli gregari non si può pensare di andare da nessuna parte. Quindi il progetto non può essere quello del Milan di italiani e del Milan di giovani. Deve essere quello del Milan di campioni, di italiani e di giovani. I campioni costano? Certo che sì. Ma senza si resta dove si è. E pensare di migliorare l’attuale rosa sostituendo De Jong (a proposito, ma perchè – se si vuol di nuovo puntare in alto – non confermarlo?) con José Mauri, Baselli o con un Bertolacci qualsiasi è quantomeno fantasioso.

Il caso Saponara non è chiuso in partenza. Così come non è già rimarginata la ferita Cristante. Parliamoci chiaro: non è che i due in rossonero avrebbero fatto la differenza o cambiato le sorti di questa stagione o della prossima. Il punto è che quando li abbiamo avuti, in rossonero, non li abbiamo visti. Prendete Saponara. Al Milan dal 2013 al 2015. Otto presenze, quasi tutte dalla panchina. Zero reti. Da gennaio all’Empoli. Dodici presenze e sette timbri. Come mai nessuno gli ha concesso fiducia? Come mai è stato scaricato senza essere messo alla prova, sbolognato con un riscatto modesto a favore dei toscani? E come mai adesso si insegue uno come Bertolacci, che più o meno opera nella stessa posizione? Adesso Saponara interessa a Lazio e Juventus. Ma la comunicazione ufficiale fa spallucce, parlando di caso chiuso in partenza. Liquidando la questione, lasciando intendere che Sapo è buono, sì, ma per la dimensione dell’Empoli. Scordandosi di quando gli stessi lo paragonavano a Kakà, e non solo per il nome di battesimo. Prima tutto, adesso nulla. E se Saponara non andava bene, Bertolacci e Baselli invece faranno la differenza? Su Cristante abbiamo già scritto. Ai difensori dell’indifendibile che ci fanno notare lo scarso utilizzo del ragazzo in quel di Lisbona (cinque presenze) ribattiamo che in rossonero di apparizioni ne aveva fatte meno, tre. Anche in questo caso, cessione a scatola chiusa, senza prima testare il prodotto. Facciamo così, ne riparliamo fra tre anni.

Giornali e siti sono tutti d’accordo. Il candidato numero uno per la panchina rossonera è Carlo Ancelotti.  E c’è anche una voce che circola nei peggiori bar di Milano. Quella che vedrebbe Inzaghi restare in rossonero, affiancando proprio l’antico maestro, magari come vice al posto di Tassotti. Vedremo. Sta di fatto che la trattativa per il ritorno di Carletto è molto ben avviata. E sarebbe praticamente fatta se il Real esonerasse il tecnico emiliano concedendogli la buonuscita. Ancelotti firmerebbe un quadriennale, con la mission di riportare il Milan dove merita. Ribadiamo la nostra opinione, sperando che i fatti ci smentiscano. Ancelotti non è l’allenatore per il Milan di oggi. Ancelotti è uno che sa gestire bene i gruppi, ma non offre valore aggiunto in quanto a tattica e motivazione. Lui si affida. Si è affidato ai senatori rossoneri, che pare stabilissero pure se fosse o meno il caso di allenarsi e quanto. Si è affidato allo zoccolo duro del Chelsea, e si è affidato ai veterani del Real. Campioni. Al Milan troverebbe un gruppo in cui ad oggi manca un leader. Il leader dovrebbe essere proprio il tecnico. E qui sarebbero dolori. Gattuso ha detto: “Ancelotti ha una dote: i giocatori lavorano per lui. Ma ha un difetto: a volte non sta sul pezzo al 100%, quando vede i giocatori stanchi è troppo buono”. Ancelotti è perfetto per gestire una rosa di fuoriclasse, compito semplice solo per chi non si rende conto di cosa significhi far coesistere gente che fattura, singolarmente, come un’azienda di grosse dimensioni. Ma se c’è da far sputar sangue a gente dal mediocre talento ci vuole altro.

Ci vuole un sergente di ferro. Un capo, uno che faccia rigare tutti diritti e nella stessa direzione. Senza pietà per nessuno.

Marco Traverso

Twitter: @marcotraverso75

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