Canale Milan
di Riccardo Zavagno
Echeggiano ancora le parole di Galliani il primo giorno del raduno quando consigliava caldamente di non essere ottimisti ma bensì di attenersi alla realtà. Al triplice fischio di Banti, la realtà lascia poco spazio all’immaginazione e soprattutto all’ottimismo anche se ripetere una prestazione altrettanto scarsa è veramente difficile e questa potrebbe essere l’unica nota positiva della giornata. A memoria, per trovare una partita giocata così male bisogna tornare forse ad un Milan-Zurigo di Champions League (2009/2010), terminata con lo stesso risultato passivo conseguito anche in quella circostanza su colpo di testa nato da un calcio d’angolo. I toni e gli aggettivi sono severi non tanto per una sconfitta che fa parte del gioco, ma per come sia figlia di una estate a dir poco confusionaria culminata con la ciliegina sulla torta di Ze Eduardo. Riuscire a metabolizzare la prestazione della squadra, il momento storico della società, l’umore dei tifosi e tramutare il tutto in parole è veramente difficile.
Ed è ancora più difficile rimanere impassibili davanti al terzo tempo di stampo italico dove ognuno, nessuno escluso, si sente proprietario della verità assoluta sciorinando le critiche più facili, feroci e gratuite puntando il dito su nomi e cognomi, dal magazziniere al numero uno dell’organigramma. La verità o realtà qualora la si voglia chiamare così è che società, giocatori e tifosi sono tutti nella stessa barca. Si certo, oltre alla recinzione di Milanello, al pulman c’è anche qualche zero in banca che ci divide non solo fisicamente dalla squadra ma ogni volta che il Milan gioca è come se anche noi quella maglia con quelle strisce rossonere la indossassimo per davvero, è come se in ogni tocco di palla ci fosse anche un nostro contributo.
Lo stato d’animo attuale è facilmente accostabile all’espressione del volto di Galliani inquadrato ieri in tribuna (per la cronaca c’era qualche Berlusconi a vedere la partita?), turbato, attonito e scuro in volto. Siamo sicuri che la tonalità sarebbe stata la stessa anche il 24 di dicembre. Lo spettacolo, se così si può chiamare, è stato desolante perché in campo è scesa una squadra in confusione, senza punti di riferimento nei reparti, impaurita, priva di una trama di gioco e quei pochi movimenti sembravano dettati più dalla paura e dalla improvvisazione che da schemi e determinazione. Inoltre la scelta iniziale di far accomodare in panchina una delle poche note positive delle amichevoli estive come Emanuelson ed i nuovi acquisti, ad eccezione di Montolivo, inserendoli a partita abbondantemente in corso e compromessa ha suscitato più di una perplessità.
Come ha detto Abbiati, capitano per l’occasione, ci vuole pazienza all’inizio perché la squadra ha perso parecchie colonne e giocatori importanti ed al momento è tutto un cantiere aperto. Su questo non ci sono dubbi, anzi. Per esempio non si può e non si devono condannare le prestazioni dei singoli componenti di una difesa per lo più inedita, composta da De Sciglio-Bonera-Yepes-Antonini, perché schierandola si sa già a quali limiti tecnici ed anagrafici si va incontro. Ed ieri c’era solo, con tutto il rispetto, la Sampdoria con il solo Eder in attacco.
Il nodo piuttosto è capire il perché si arrivi a schierare quella difesa. In passato il Presidente Berlusconi ha spesso criticato le scelte dell’allenatore paragonandolo ad un sarto che non è capace di dare valore ai tessuti pregiati messi a disposizione. Ad oggi il tessuto oggettivamente non è pregiato, colui che lo compra non si sa se è ancora interessato a cercare nei mercati stoffe di qualità ed il sarto sinceramente ad oggi non dà l’impressione di sapere da che parte iniziare. Aspettare il 31 agosto per vedere se dalla Spagna arriva un Kakà o Diarra non è la panacea di questo male. Certo aiuterebbe a risollevare lo spirito in memoria dei bei momenti passati ma con grandi incognite sull’effettiva efficacia per un presente e soprattutto per un futuro. Kakà e Diarra come colpi di mercato potrebbero essere facili prede per descrivere il momento del Milan, con battute assai scontate. Anche questo è realismo.
Nel frattempo piego e ripongo nell’armadio i mie pensieri insieme alla mia maglia del Milan, senza nome e numero, in attesa di compiere come un rituale sacro i soliti gesti per indossarla nuovamente in occasione della prossima partita. Questo è realismo ed ottimismo. Insomma fede.
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Quanto è dura la realtà