Anche stanotte non si dorme. Come sempre, più di sempre.
Quest’anno, questo giorno qui, s’è sentito arrivare, da lontano, molto prima, come il pelotòn assieme al suono delle sirene. Come una pelata assieme ai ricordi, moltissimi. Moltissimi. Che li terresti anche chiusi nel baule assieme a quei vecchi giornali che ti paiono, ogni anno, in sto periodo, un mostro in agguato, che, stati certo, ti troverà e ti dilanierà. E, alla fine, li rileggerai. Oh, eccome se li rileggerai. Pur conoscendone ogni riga. Li rileggerai. Questo, da dieci anni, è un giorno fatto per farsi male.
La cosa scocciante, domani, è far gioco forza parte del corteo mediatico, del mucchio selvaggio dei coccodrilli che, al girare la pagina del calendario, via con l’eroe di turno. No, dopodomani non passa.
Dieci anni da Rimini, quindici anni da Madonna di Campiglio, e non cambia niente. Quella mattina, di quello sport, s’è portato via tutto. E, ironia della sorte per chi preconizzava con ansia nuovi eroi, in quello sport da quella mattina non è successo più niente. Un buco nero, uno squarcio negli albi d’oro.
Poco male, se fosse tutto lì. Ma non è tutto lì. La sera di Rimini fece una squarcio più doloroso, meno retorico, senza significati, senza epica, senza poesia. In una determinata stanza delle emozioni, da quella sera, non è successo più niente. La Rimini brutta, vuota e invernale, con la tristezza e il rimpianto portati in giro dal vento, la stessa Rimini della Teresa figlia di Pirati cantata da De Andrè, ha fatto sì un buco nero in questa e in molte altre anime. Quella sera Teresa era il Pirata. E poi non è successo più nulla, sul serio, nella stanza dell’emozione.
Non c’è da ricordare le vittorie, non eri amato perché vincevi. Eri amato perché emozionavi, perché tiravi fuori pathos e zero controllo, senza regola, senza pace, senza riposo. Un carabiniere, era un ragazzino come me, singhiozzava senza argine e speranza, accompagnando la bara. Era in servizio, non avrebbe potuto. La gamba, la gamba era spezzata, in tre punti diversi, e la tua carriera era acerba. Non avrebbe potuto. Ma potè. Con te ha sempre funzionato così. Tutto quello, e tutti quelli, che t’han fermato, una cosa così, non hanno mai saputo prevederla. Che con te funzionava così: non doveva succedere, e succedeva.
E succede: la tua leggenda non è Oropa, non è il Galibier, non è la stanza d’ospedale. La tua leggenda è come resti appiccicato alla pelle della gente, dieci, quindici anni dopo. La tua storia è l’elettricità, la materia, prima del buco nero. La tua storia è che il dolore non l’aveva previsto, che restassi. E invece resti.
Resti piantato qui, e, scusami, ma da qui non te ne vai. Non mi stacchi, è uno scatto che non ti verrà mai. Non ti lascio andare, in fuga non ci vai. Non scappi. Ti sto addosso.
Ezio Azzollini
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