di Riccardo Zavagno
Se riportiamo su un grafico i risultati fin qui ottenuti nel cammino rossonero ci accorgiamo che il percorso è caratterizzato da picchi vertiginosi come nelle montagne russe, e proprio in terra russa la squadra ha ottenuto una vittoria importante, che già era nell’aria a Parma, in un momento delicato a pochi giorni dal derby. Una vittoria che oltre ad aver fatto acquisire morale e tre punti importanti per la classifica del girone, ha aggiornato le statistiche che vedevano il Milan in campo internazionale non vincere in trasferta da sette partite. Certo i maligni sono stati subito puntuali a smontare questa vittoria dimostrando che lo Zenit non è il Real Madrid, ma è altrettanto corretto sottolineare a lor signori che questo Milan non è neanche lontano parente del Milan di solo 4 mesi fa. Perché ora in difesa per un posto da titolare in ballottaggio ci sono Zapata e Mexes, e perché a centrocampo i fischi che erano indirizzati a Seedorf sono stati rimpiazzati con il silenzio figlio dello stupore che destano le prestazioni di De Jong e Montolivo, centrocampisti che sembrano essere stati catapultati in una realtà molto più grande rispetto alle loro capacità. Per non parlare poi di Boateng in una fase di involuzione impressionante almeno quanto le capriole che faceva una volta dopo il gol, appunto una volta quando sulle spalle non c’era un 10 forse troppo carico di responsabilità e storia. Senza dimenticare il limbo dove soggiornano in pensione completa i vari Acerbi, Traoré, Constant, Pato e Robinho. Tutto questo oramai è risaputo e consolidato, ma è giusto ricordarlo.
Però c’è un elemento, anzi una qualità che è emersa in occasione della trasferta a San Pietroburgo e che è tanto cara al Milan ed ai suoi tifosi, ovvero la sofferenza. La squadra è uscita vittoriosa perché è transitata nella sofferenza, ha saputo soffrire e reagire. Non a caso i due protagonisti della partita, Abbiati ed El Shaarawi che sono agli antipodi come età, ruolo e carattere sono stati accomunati da questa capacità di soffrire, l’uno segnando e macinando chilometri dalla porta avversaria fino ad allinearsi in difesa con Antonini, mentre il numero 32, in versione “ragno nero”, si vedeva recapitare pallonate in ogni direzione a cui puntualmente si opponeva tuffandosi indistintamente da un palo all’altro. Della prestazione ne sono consapevoli anche i giocatori stessi a tal punto che con orgoglio hanno ripetuto nelle interviste del dopo partita quanto questa sofferenza sia stata determinante per caricarli di energie. Provate a chiedere a mister Allegri se anche lui non ha sofferto durante la partita quando si è trovato costretto a partire con un modulo nuovo, dopo il vantaggio a riscrivere nuovamente la squadra per poi concludere la partita con una difesa a cinque in stile fortino.
Da questa presa di coscienza generale, squadra più allenatore, che alla testardaggine, paura e manie di grandezza bisogna lasciar spazio alla sofferenza, coraggio ed umiltà ci avviamo un po’ più rinfrancati ad affrontare questo derby.
Perché in fondo è ancora più bello quando il Milan vince soffrendo. Quando vinciamo soffrendo.
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