La settimana che ha portato in dote al Milan la finale di Coppa Italia ci ha anche regalato una notizia che è passata un po’ sottotraccia ma che merita sicuramente un approfondimento: si è tenuta a Londra una riunione tra esponenti di rilievo delle “cinque grandi” di Inghilterra. Liverpool, Chelsea, Manchester United, Arsenal e Manchester City, almeno stando alle ricostruzioni dei tabloid inglesi, vorrebbero dare vita ad una “superlega” insieme alle altre “big” del calcio europeo. Siccome sul quasi tennistico risultato della semifinale con l’Alessandria non avreii molto da dire oltre a quello che avete detto nei giorni scorsi, vorrei cimentarmi con questo tema. C’è un problema: non sono preparato.
Dici poco…
L’idea però è più o meno questa: dato che mi vanto sempre dei lettori del night dicendo che sono il segreto di pulcinella del successo del nostro blog, stavolta vi frego (faccina che ride) e il post lo facciamo insieme. Io scrivo alcuni spunti senza un ordine preciso, così come mi vengono in mente e voi aggiungete i pezzi che mancano. Il tema è ampio ed il mio cervello considerevolmente limitato. Direi che gli elementi per divertirci ci sono.
Partiamo.
Innanzi tutto esauriamo il capitolo dell’attinenza di questa lega europea con il Milan. La contiguità l’abbiamo almeno su due fronti. Il primo è quello della pertinenza del Milan attuale (e futuro) con un campionato europeo composto da supersquadre: noi con loro cosa abbiamo a che fare? La risposta è facilissima: al momento, niente. Anzi, meno di niente. Di quel livello non abbiamo lo stadio, la squadra, il seguito, il fascino, la proprietà, il management. E forse mi sono scordato qualcosa. Eppure solo una decina di anni fa… con tanti ringraziamenti a quelli che questa settimana hanno festeggiato il trentennio da dieci e lode. Ed all’orizzonte si addensa una nebbia mefitica dal palude. Pattiniamo via veloci anche perché il secondo aspetto che ci lega a questo progetto non fa altro che rigirare il coltello nella piaga.
Già perché, paradossalmente, uno dei primi inventori del concetto fu proprio Silvio Berlusconi che iniziò a parlarne agli albori della sua presidenza. Come uno proprietario possa essere stato in un trentennio tanto innovatore e, insieme, tanto conservatore resta un grande mistero. Ad oggi, doloroso per i milanisti e gaudioso per tutti gli altri.
Una prima riflessione conviene, a mio avviso, farla sulle motivazioni che spingono le inglesi ad intraprendere questa strada. Premesso che nessuno ha rilasciato una dichiarazione ufficiale e dobbiamo affidarci alle indiscrezioni la motivazione trapelata sarebbe l’insoddisfazione per l’andamento di questo campionato in cui Leicester, Tottenham e West Ham occupano primo, secondo e sesto posto. Se la motivazione è questa, indipendentemente dall’essere favorevoli o contrari all’idea in generale, questi signori vanno presi a calci. Piaccia o non piaccia lo sport è questo, mettere in gioco tutto quello che si ha per andare oltre il proprio limite. Non si può pretendere nulla per diritto divino, ce lo si deve guadagnare.
Credo che, fortunatamente, la motivazione sia altra ed i risultati sportivi della Premier League di quest’anno siano solo la causa scatenante. Il problema è che oggi il mercato di queste squadre è mondiale, l’orizzonte temporale è quello dei prossimi trenta/cinquanta anni ed i concorrenti non sono altre squadre di calcio. Il football nel resto del mondo non esiste a confronto di quello europeo se non come serbatoio di giocatori da portare qui da noi. Il campionato del mondo per club è abbastanza emblematico visto che dal 2007, con il Milan vincitore, vince sempre la squadra europea con la notevole eccezione del Corinthians (che però in finale sconfisse un Chelsea allo sbando). I gol segnati dicono 21 a 4. Addirittura L’inter riuscì a vincere contro una squadra africana perché la sudamericana (l’Internacional) era ancor più scarsa.
No, le vere “avversarie” nella lotta per la conquista delle fette di mercato mondiale sono le leghe professionistiche americane ed i grandi eventi mondiali come la formula 1, il motomondiale, il “sei nazioni”, il circuito ATP. Tutti gli eventi dove le eccellenze si confrontano con altre eccellenze. Per un appassionato di sport per quelli che, come il sottoscritto, sentono l’adrenalina che scorre quando si scontrano i grandi il confronto tra Federer e Djokovic è sostanzialmente identico a quello tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers o tra Liverpool e Real Madrid.
Non solo ma dobbiamo aggiungere una certa insofferenza che si manifesta tra le grandi verso l’Uefa. E qui dobbiamo andare ancora una volta negli Stati Uniti che del superprofessionismo sono gli inventori. Le leghe pro sono delle associazioni di franchigie che difendono gli interessi delle squadre associate. L’Uefa è una federazione che organizza la competizione calcistica più seguita del mondo a cui quelle squadre partecipano.
La differenza è abissale.
Per quanto la NBA, nella persona del suo “commissioner”, possa prendere decisioni “contro” una delle squadre associate lo fa in nome e per conto di tutte le squadre, compresa quella punita. E la NBA è potentissima, in casa propria addirittura onnipotente ma nessuno (fatta eccezione per il proprietario dei Dallas Mavericks, Mark Cuban) ne contesta le decisioni. L’Uefa al contrario cura interessi propri che coincidono solo parzialmente con quelli delle squadre che fanno le coppe europee (la Champions).
Date queste premesse le “major” del calcio provano ad organizzarsi da sole. Può non piacere ma il loro panorama è quello descritto prima e non possono, nella loro ottica, permettersi il “lusso” di portare agli ottavi di Champions Gent, Wolfsburg, Zenit, PSV, Dinamo Kiev e Roma. O per lo meno non tutte insieme.
E qui rientra in gioco il Milan (e anche l’Inter). Alla fine della stagione scorsa Franz Beckembauer, uno che in linea di massima qualcosa in questo sistema conta qualcosina, ha dichiarato che il calcio europeo non si poteva permettere di tenere fuori uno stadio come San Siro. Parole, più o meno, testuali. Traducendo dal linguaggio dei potenti la frase ha un doppio significato. Il primo, consolante, dice “Ragazzi, siete grandi. Avete dieci coppe dei campioni in due. Vi vogliamo nel gruppo.”. Il secondo è inquietante e dice, chiaramente: “Ragazzi, il livello è quello delle dieci coppe con le grandi orecchie. Se non alzate il culo noi facciamo anche da soli. Grazie e quando avete finito spegnete la luce…”
All’ombra della Madonnina invece trovano molto più interessante perdere tempo. Se Atene piange, Sparta non ride. Se il Giannino spende 90 milioni per arrivare sesto, i cartonati ne spendono cinquanta per arrivare quinti. Berlusconi parla di Milan italiano mentre dall’altra parte del Naviglio invitano Mourinho e Ronaldo in tribuna. Pensano al passato remoto, nemmeno all’imperfetto mentre in altre latitudini stanno scrivendo il futuro…
Potremmo andare avanti per ore.
Potrei aggiungere sulla piastra altra carne. Un sistema così concepito ha delle caratteristiche peculiari e diverse da quelle attuali, addirittura delle necessità. Deve essere chiuso, senza retrocessioni; deve avere un organo centrale decisionale pressoché onnipotente alle cui statuizioni gli associati devono rimettersi (cosa che, per esempio, esclude gli juventini…); deve essere all’avanguardia in ogni settore, particolarmente, in quello della tecnologia; non deve avere antagonisti ma solo comprimari che ad esso si adeguano (la convivenza con l’UEFA sarebbe uno scontro alla fine del quale uno dei due contendenti “ci lascia le penne”).
Ancora. Chi sarebbero le partecipanti? Quali le squadre italiane? Chi decide le ammissioni? Quali sarebbero i criteri di scelta per entrare nel ristretto club e quali i criteri per l’allargamento del numero di partecipanti? Il fair play finanziario sarebbe ancora una regola utile oppure dovremmo importare il sistema americano del “salary cap”?
Adesso però tocca a voi aggiungere quello che vi viene in mente per completare un discorso che io ho potuto affrontare solo in parte.
Concludo tornando al Milan ricordando che, mentre le grandi si organizzano per diventare ancora più grandi, un signore con la cravatta gialla ha mendicato la “wild card” per far partecipare alla Champions League le squadre che hanno un certo numero di coppe europee.
Andatevene, maledetti.
Pier
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