di Alfredo De Vuono
Quanto è invecchiato, Adriano Galliani. So che molti di voi fanno fatica ad immaginarlo, ma la percezione, per chi fa questo mestiere, si denota da un dato semplice ma lapalissiano: all’interno degli archivi fotografici a cui attingiamo, la sua ultima foto col sorriso stampato in viso ed un numero inferiore di rughe inferiore a dieci risale a circa due anni fa. Tante – quelle della vecchiaia – dipendono dal famigerato calo di collagene, così osteggiato dalle donne; molte altre, però, quelle d’espressione, nascono dalla frequente ripetizione di alcuni movimenti facciali legati alla manifestazione di sentimenti ed emozioni. Tipo lo stress.
E dire che una volta – e non un’epoca fa, beninteso – era lui, insieme al suo unattiminomenolimpido collega Luciano Moggi a marchiare le tappe del calendario estate-autunno-inverno del calciomercato. Oggi tutto è cambiato. Il numero uno, attraversato dagli impegni politici e, soprattutto, giudiziari, ha deciso di fare non uno, ma una decina di passi indietro. Anche perchè non è più un bambino, e da grande – perché dire vecchio mi farebbe comunista e mangiabambini -, come è noto, ci si stanca facilmente del ludus. Anche perché ci sono cose più serie a cui far fronte: e qui, anche dall’alto della mia saccenza, faccio fatica a dargli torto. Il problema è che ora il suo ex giocattolo preferito è diventato una qualsiasi delle sue aziende: ovvero, con un bilancio da gestire con la stessa accortezza della madre di famiglia alle prese col mezzo chilo di pere dal fruttivendolo. Per tutto il resto, c’è Adriano. Che, proprio come la matrona proletaria di cui sopra, cerca di fare il bouquet con i carciofi, e si presenta con il candelabro in mano a cercare di illuminare sentieri che definire bui e tortuosi è pura ingenuità.
E allora, finita la paghetta che annualmente papà consegnava nel borsello dello scarsicrinito delegato, il Milan ha cominciato a fare la matricola tra le grandi d’Europa. S’è passati dagli affari a sorpresa, da tirar fuori dal cilindro a fine mercato e spesso a costi spropositati – seppur mai folli, Real docet – ai cosiddetti svincolati o quasi. Una categoria di calciatori sdoganata e divenuta appetibile sul mercato, praticamente, da quando il caro e vecchio Adriano ha capito che potevano convenire eccome, in periodi di vacche anoressiche.
Affari talvolta anche importanti, ma di difficilissima definizione. Perché il calciatore svincolato o quasi (categoria che quasi quasi sto finendo per odiare, in tutta sincerità) non è certo stupido. E da qualche tempo, da buon furbone qual è legittimo che sia, s’è anche stufato d’aspettare. Chiedetelo al signor Carlos Tevez, quello che a cena pasetggiava avidamente a spese dell’A.C. Milan da Giannino e poi, tornato a casa, mandava ammaliati SMS al buon Marotta. Oppure al giovane Ljajic, rincorso con le elemosine per settimane ed oggi, una volta fatto ufficialmente fuori dalla Fiorentina, felice giallorosso. O, ancora, a Keisuke Honda, che del fascino del Diavolo – evaporato ma evidentemente ancora inspirabile nelle arie nipponiche – continua a risentire, e che presumibilmente si sarà chiesto più volte quante magliette recanti il suo nome deve garantire ai milanesi, prima di convincerli a sborsare la manciata di milioni necessaria per strapparlo al CSKA.
Perché è di questo che stiamo parlando. D’un Milan più attento ai bilanci ed al marketing di quanto non lo sia sotto il punto di vista meramente tecnico: come se servisse un guru del mercato a capire che è tutt’altro ciò che serve ad Allegri. Un difensore giovane e valido, ad esempio.
Roba da boutique, sia ben chiaro: soprattutto in un’epoca come questa, nella quale i top nel ruolo d’attacco s’equivalgono rispetto ai gol subiti su palla inattiva dal Milan negli ultimi 28 mesi; ed i difensori di livello, invece, sono più rari dei gol di Nocerino da quando Ibra ha smesso di lanciarlo.
Un portiere, magari più giovane di Abbiati, più mobile di Amelia e più prospettico di Gabriel. Roba che il vecchio Adriano, avesse rivissuto la stessa situazione all’epoca, avrebbe già preso il primo volo per Madrid portandosi in dote un certo Casillas.
Un terzino sinistro con un minimo d’appeal e futuribilità. Materiale umano che il Milan cerca praticamente (e disperatamente, con risultati ridicoli) sin dall’ultima partita in quel ruolo d’un certo Maldini. Un centrocampista di livello europeo, per chiudere il cerchio. Perché se è vero come è vero – e dalle parti di Milanello nessuno c’ha mai creduto, Allegri escluso – che di Pirlo non c’era più bisogno, è vero anche che Montolivo, De Jong, Poli, Nocerino e Muntari non possono bastare per il campionato, figuriamoci per l’Europa.
E allora prendiamoci Silvestre dall’Inter come palliativo da rimandare al mittente tra 11 mesi, e l’ennesimo pacco sudamericano da rimbalzare al Monza, se l’esordio dovesse confermarne la pochezza. E magari pure Matri in avanti, così da spaccare lo spogliatoio tra due mesi o poco più, quando le foglie cominceranno a cadere, e gente come El Shaarawy rischierà d’esser relegata in panchina perché, vuoi o non vuoi, troppa non possono farne Matri e Pazzini. Sempre che, tra qualche mese, si riesca finalmente a sbolognare in Brasile la controfigura che da una stagione e mezza abita nel corpo di Robinho, e che il povero Niang riesca finalmente ad essere associato, su fantagazzetta.com, a quel bonus che vale tre punti e che oggi vede lontano come io vedo una notte di sesso con Monica Bellucci. Anche adesso, che sta su piazza.
E allora aspettiamo la notte della definizione, come dicono in coro Allegri e Galliani. Quella di domani sera, che darà o meno al Milan i fatidici 20 milioni. Metà dei quali, forse, potrebbero essere finalmente investiti in qualcosa di più solido di Saponara e Vergara. Non basterà comunque, ma potrebbe dare il via al lento percorso di ricrescita.
Non del crine di Adriano. Quello se n’è andato decenni or sono. E non fu certo un problema di stress da mercato.
