Milan news
Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: “Soianito”, “La vita è una” con Martina Colombari, “Sembra facile” con Ugo Conti.
© foto di Pietro Mazzara
Dovevamo credergli, martedì mattina. Una telefonata di un amico fidato, da molti anni a busta paga del Milan: “Sii prudente, non ti sbilanciare, so per certo che Thiago Silva non se ne va. Galliani tornerà da Parigi e dirà che il Presidente non se l’è sentita, è tutto studiato. Lo sa anche Allegri”. Ma noi, che abbiamo cominciato a fare cronaca nera a 17 anni, abbiamo battuto tutti i marciapiede del giornalismo, non ci siamo fidati fino in fondo. Era troppo incalzante l’onda della cessione, avevamo anche fonti interne a Mediaset che spifferavano come l’operazione fosse praticamente conclusa.
Barbara è esplosa: “La cessione di Thiago Silva sarebbe un errore, 40 milioni da incassare insieme con il rischio di non entrare nemmeno in Champions l’anno prossimo”. Milan Channel ha sfruttato l’occasione: “Presidente la preghiamo, lo tenga”, anche in questo caso con un’intuizione mediatica azzeccatissima, trasgredendo lo zerbinamento di cui è sistematicamente fatto oggetto (insulto che non sfiora mai nessun altro canale tematico esistente in Italia). In ogni caso, dopo il caso-Kakà, i tifosi milanisti hanno vissuto giorni da travaso di bile: un bluff? Tutt’altro, un’operazione mediatica studiata scientemente a tavolino con un messaggio chiaro: “in questo momento di profonda crisi economica, niente follie per gli acquisti, ma il sacrificio di una rinuncia che vale la candela. Per il Milan e per voi tifosi”. Leonardo ci è cascato. E con lui molti altri. Eppure resta una grande moltitudine di tifosi a non mandare giù il bluff, nemmeno ora che Thiago è rimasto.
Ci ha detto il capitano Massimo Ambrosini: “Il ragionamento su un’operazione come la cessione di Thiago Silva si fondava su due punti precisi, il portafoglio e l’ambizione. Finanziariamente poteva anche avere un senso, ma avrebbe svilito tecnicamente la squadra in maniera pesante, forse decisiva. Resistere alla tentazione, da qualsiasi parte la si guardi, è un segnale importante: significa che c’è ancora voglia di avere una squadra competitiva”.
Noi non abbiamo smesso di criticare, attaccare la scelta della possibile vendita di Thiago Silva, la filosofia di una privazione illogica e non ci sentiamo di abbassare la guardia nemmeno ora. La cessione del più forte difensore del mondo nascondeva un’insopportabile insidia. Avrebbe aperto infatti le porte a qualsiasi cattivo pensiero, il peggiore dei quali prevedeva che tra 2 o 3 anni, quand’anche il ventenne sostituto del brasiliano fosse sbarcato al Milan da numero 514 al mondo in un ipotetico ranking e fosse diventato nel 2015 il n.1, sarebbe stato venduto di fronte alla consueta “irrinunciabile offerta”. E così El Shaarawy, De Sciglio, chi lo sa… Dal momento in cui Thiago Silva avesse lasciato il Milan, quel destino avrebbe potuto riguardare chiunque, in futuro. Senza contare l’effetto-domino dei testicoli che sarebbero cascati con effetto immediato a Ibra, Boateng, Cassano, lo stesso capitano Ambrosini, i tifosi. Vendere Thiago Silva, alla faccia dei tromboni che hanno continuato a menarla: “Non si può rinunciare a un’offerta così per un difensore”. Monumentale cazzata. E’ la stessa insensata logica che nei momenti di crisi porta ai tagli reiterati dei costi, senza pensare alle conseguenze. Non si può entrare in un’azienda in crisi con il macete come in una foresta pluviale, perché tagliando alla cieca tutto quello che ostacola il cammino si rischia di decapitare anche un pigmeo. L’obiettivo invece dev’essere quello di estirpare le erbacce per arrivarci, al villaggio pigmeo. Tu vendi Thiago Silva e incassi 40 milioni, ma perdi credibilità, immagine, abbonamenti, appeal, potenzialità, probabilmente altri giocatori e quindi magari comprometti persino un piazzamento in Champions – nella prossima stagione – che da sola vale una ventina di milioni per la qualificazione e altrettanti lungo il cammino tra incassi, diritti tv, premi, bonus di varia natura, sponsor stessi.
Il presidente Silvio Berlusconi una volta, dopo la presentazione all’arena con gli elicotteri e poi il pranzo a Villa San Martino, subito dopo la partenza della squadra per Vipiteno (1986), si tolse la giacca, si rimboccò le maniche della camicia e si sedette in giardino con intorno i giornalisti (eravamo una decina, non di più: come sono cambiati i tempi…) per spiegare la filosofia del Milan, il rifiuto di quotare Fininvest in borsa, le sue idee di stadi coperti con i posti numerati, di tecnologie in campo, di progetti sportivi come Mediolanum che avrebbe sostenuto oltre al calcio anche rugby, hockey e pallavolo. Era il re assoluto della comunicazione, schietta, diretta, esaltata da una favella ricca di intuizioni e lungimiranza. Oggi è stato necessario orchestrare un teatrino che ha sfibrato i tifosi, finendo col confonderli, renderli scettici più che esaltarli per “il sacrificio di una rinuncia”.
Ci siamo sforzati di capire in questi giorni che cosa stia passando per la testa di Berlusconi, per quanto riguarda il Milan. E’ stanco? Vuole sistemare i conti per poter passare la mano agli arabi? Tiene il club, così come forse Mondadori e Mediaset, solo per l’occupazione dei figli? Non ha più voglia, sprint, entusiasmo per dettare strategie, fissare traguardi, coltivare ambizioni? L’accerchiamento da parte di Fininvest che ripiana i debiti, i tifosi che pretendono così come i giocatori stessi, Galliani mandato allo sbaraglio come un faccendiere a trattare con piccoli personaggi operazioni di piccolo cabotaggio, lo hanno sfiancato? Abbiamo conosciuto un presidente senza giacca, seduto in un giardino con le maniche della camicia rimboccate, che raccontava. Che spiegava. Ci piacerebbe riaverlo per un’ora, per capire.
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Post Originale:
Thiago Silva, vi sveliamo tutti i retroscena Ambrosini: "Così ha prevalso l’ambizione"