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Dicembre 1989: al Milan di Sacchi, campione d’Europa in carica e fresco vincitore della Supercoppa Europea, manca solo l’ultimo tassello, il trionfo in Coppa Intercontinentale. Per mettere le mani sul trofeo che sancisce una teorica supremazia mondiale, però, i rossoneri dovranno affrontare un avversario particolare ed una partita che farà storcere il naso a molti per le ragioni più diverse.
Già il 31 maggio, quando i colombiani dell’Atletico Nacional de Medellin battono ai calci di rigore l’Olimpia in finale di Copa Libertadores, si intuisce che sarà un’edizione particolare: per la prima volta a vincere la massima competizione sudamericana per club è una squadra della parte occidentale del continente, a smentire l’egemonia dei club atlantici riassunta dal detto “la copa se mira y no se toca“, si guarda ma non si tocca.
Fin da subito si scatena, nella stampa italiana, un dibattito sull’opportunità di giocare o meno quella partita. I verdolagas sono infatti accusati di avere rapporti con i narcotrafficanti del famigerato Cartello di Medellin e sui giornali appaiono articoli con titoli come “Bastano cento dollari per morire a Medellin“. Certo i precedenti non aiutano la reputazione del Nacional: l’ex presidente del club, Ernan Botero, all’epoca si trova in carcere negli Stati Uniti per riciclaggio di denaro sporco.
A intervenire per smentire queste voci, sottolineando come il nuovo presidente del club sia soltanto un economista ed ex dirigente bancario che nulla ha a che fare con il traffico di cocaina, è addirittura l’ambasciatore colombiano in Italia. Il Milan respinge l’idea di boicottare il match, ricevendo i ringraziamenti della dirigenza del Nacional, ma le polemiche avranno un loro strascico, con tanto di risposte di giornalisti sportivi sudamericani (“cos’è il nostro cartello di fronte all’autorevolezza e alla potenza di mafia, camorra e ‘ndrangheta?“) e dello stesso allenatore dei verdolagas ( “Ho sempre letto che la mafia è nata e cresciuta in Italia“).
Ma quel Nacional è una squadra particolare anche, e soprattutto, per motivi strettamente calcistici: secondo alcuni (tra cui Sandro Modeo, che ne parla nel suo recente “Il Barça“) si tratterebbe dell’unico vero modello sudamericano di calcio totale. Francisco Pacho Maturana, un passato da dentista e difensore centrale e un futuro da parlamentare, viene chiamato nel 1987 sulla panchina dei verdolagas e, con una rosa di soli colombiani, costruisce una squadra dove la tecnica sudamericana poggia su un rigore tattico tipicamente europeo. L’ispirazione viene proprio da Arrigo Sacchi, come lui stesso riconosce: “Il gioco di Arrigo magari non produceva vittorie così facili e chiare come quelle dell’era Capello, però mi riempiva di più gli occhi“.
Lo stesso allenatore del Milan non fatica a comprendere l’eccezione costituita dai campioni del Sudamerica: “Il Nacional è una squadra sudamericana molto particolare, sicuramente con qualcosa in più rispetto alle altre. In genere, da quelle parti, curano soprattutto il possesso palla. Qui si va molto oltre. Il calcio del Medellin è quello di una squadra corta, anzi cortissima. Una squadra aggressiva, che fa la zona senza smagliature. Potrei dire i nomi di un paio di giocatori che mi piacciono, ma quello che più colpisce è il loro collettivo“.
Si gioca il 17 dicembre, i rossoneri partono da Linate già lunedì 11 e, dopo un viaggio aereo tormentato (conati di vomito per Donadoni, mogli di giocatori che svengono), seguito direttamente da un primo allenamento, scoprono che ai giapponesi, nonostante il tutto esaurito allo Stadio Nazionale, non interessa molto dei giocatori presenti. L’unico in grado di attirare l’interesse nipponico è infatti Ruud Gullit che, infortunato, non ha preso parte alla spedizione: le domande dei giornalisti ai vari Van Basten e Baresi riguardano quasi esclusivamente l’olandese con le treccine. Un ragazzo che è riuscito a procurarsi una parrucca alla Ruud vive momenti di impensabile popolarità, fotografato da tutti i giornali insieme ai vari calciatori del Milan.
Se il Milan è costretto a lasciare a casa Gullit, quella di rinunciare al secondo portiere è invece una scelta di Maturana, che considera uno spreco occupare un posto in panchina con il sostituto di Renè Higuita (“In effetti sono uno che difficilmente si fa male“, dice lui). Tra i colombiani manca anche Alex Valderrama, cugino del ben più noto Carlos, mentre sono presenti, tra gli altri, giocatori come il difensore Andrès Escobar (anni dopo assassinato) e l’attaccante Albeiro Usuriaga, che i giornalisti giapponesi paragonano a Gullit (e anche lui troverà la morte anzitempo, sotto i colpi d’arma da fuoco di un killer quattordicenne).
Al momento del calcio d’inizio, in Italia sono le 4.30 del mattino. I due milioni e mezzo di spettatori che rinunciano al sonno per seguire l’evento in diretta su Italia 1 (all’epoca un record) assistono ad un incontro decisamente poco spettacolare: per La Stampa è “una delle più brutte partite di calcio mai giocate“, per la Repubblica “una partita di noiosissima tensione“. Il Milan e la sua imitazione sudamericana, due squadre corte e compatte, finiscono per annullarsi a vicenda, generando due ore povere di emozioni.
Dopo 118 minuti e 41 secondi, quando i milanisti temono di doversela vedere ai rigori con Higuita, ecco che arriva Alberigo Evani a risolvere la situazione. Già decisivo nella vittoria sul Barcellona in Supercoppa Europea, Bubu sfrutta un errore del portiere avversario nel disporre la barriera su un calcio di punizione dal limite: “Tiro io, ho visto un buco“, dice a Donadoni. Seguono il tiro, il gol, l’esultanza di Galliani ed alle 6.23 italiane il Milan è campione del mondo per la seconda volta, a vent’anni di distanza dalla battaglia di Buenos Aires.
Chicco San, cresciuto nel settore giovanile rossonero, vince anche il premio come miglior giocatore e la possibilità di scegliere tra una Toyota Carina ed un premio di 11000 dollari (la scelta cadrà sull’automobile). Il Milan e il Giappone si incontreranno di nuovo l’anno successivo e per i rossoneri sarà un altro trionfo; anche il Milan e Maturana si ritroveranno, nell’amichevole Colombia-Milan del 29 maggio 1994, e Maturana si prenderà la rivincita, sconfiggendo per 2-1 gli uomini di Capello.
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Tokyo ’89: Sacchi vs Maturana e “una partita di noiosissima tensione”