Ogni tanto mi capita. Soprattutto dopo una settimana particolarmente intensa mi abbandono ad un sabato di relax totale. A seconda della dose di indulgenza che ho nei miei confronti in quel periodo lo definisco alternativamente “relax” o “abbrutimento”. Complice una giornata di spese del lato femminile della mia famiglia (cioè tutti tranne il sottoscritto), mi sono seduto sul divano alle 13,30 per Tottenham – Arsenal e, dopo la “pausa cena” mi sono alzato alle 23,00 alla fine di Napoli – Chievo. In mezzo solo prati verdi e palloni che rotolano.
Ma una bella birra? Una giornata in montagna?
Che ci volete fare, ciascuno ha i suoi difetti…
Giornata, a dispetto dell’opinione di mia moglie, utilissima. Triste, ma utilissima.
Ho “guadagnato” parecchie convinzioni, un livello di conoscenza che alle 13,30 di sabato 5 Marzo 2016 non avevo.
Innanzi tutto so per certo che il mio divano è comodissimo.
In secondo luogo ho la certezza matematica che il campionato inglese rispetto a quello italiano è di un livello superiore. Anzi, si tratta di due pianeti diversi. Se vi è capitato di vedere il derby londinese in programma sabato ve ne sarete agevolmente resi conto. Non è tanto la caratura tecnica e tattica delle squadre a fare la differenza. È una questione di “ritmo”, intensità ed applicazione in mezzo al campo ma anche di passione, colore ed ambiente sugli spalti. La sono la regola, qui una rarissima eccezione.
Terzo postulato del divano di Pier: ho “sofferto” molto di più per il Leicester sabato pomeriggio che non per il Giannino domenica pomeriggio. Al gol di Mahrez ho esultato come un matto e non solo perché la favole delle “Foxies” è quanto di più casciavìt il calcio europeo riesca a fornire. La valutazione va fatta in negativo, oggi è facilissimo essere più appassionanti del Giannino. L’opera, devastante, di snaturamento del Milan è arrivata al suo limite estremo e, purtroppo, credo che il fenomeno non riguardi solo me. Avanti di questo passo la grande eredità del duo Galliani-Berlusconi rischia di diventare la disaffezione. Milano sponda rossonera è una città, calcisticamente, malata. Lo stadio è sempre vuoto, gli abbonamenti alle pay tv sono in drastico calo, il canale tematico è agli sgoccioli, la vendita di gadget segna il passo.
Domenica sera l’incredibile sconfitta dei Golden State Warriors mi ha contrariato un centinaio di volte più di quanto non abbia fatto quella del Giannino i quel di Reggio Emilia. Potrei andare avanti ma credo che il concetto sia chiaro. Assisto alle partite di quella che una volta era una passione ai limiti della religione con regale distacco.
Inizio a chiedermi se questa fredda palude di apatia valga la gioia bruciante del gol di Tomasson/Inzaghi contro l’Ajax.
Quante “Sassuolo – Milan” servono per cancellare un “Milan – Steaua”? La finale di Manchester giustifica la vergogna di Calciopoli? E’ una questione di quantità oppure di purezza del sentimento? Non voglio una risposta perché, purtroppo, quella è insita nelle domande, nel fatto stesso che quell’interrogativo io, e quelli come me, ce lo poniamo. Abbiamo già perso e la sconfitta è tutta nella nostra natura. Siamo cacciaviti, non possiamo smettere di lottare ed il privilegio di occuparci di altro e dimenticare questo squallore ci è precluso. È una sorta di calcistico giorno della marmotta. Ci svegliamo sapendo che a Reggio Emilia una squadra senza tifosi ed una perfetta organizzazione sconfiggerà una squadra (una volta) adorata ma che ha eletto la disorganizzazione a sistema. Bella merda! Almeno Bill Murray alla fine bacia la meravigliosa Andie Mac Dowell, noi che possiamo fare? Baciamo il Condor?
Quarta stazione della “via crucis”.
Tarda sera. Il Napoli, giocando bene a calcio (un calcio che, dolorosamente, ricorda, per geometrie e costante ricerca della supremazia territoriale numerica e psicologica dell’avversario, quello del Milan di Sacchi) domina il Chievo. Già questo potrebbe essere fonte di nervoso visto che il 442 in salsa serba del calcio sacchiano ha solo la forma visto che la sostanza è quella del parassitismo. E invece lo stress continua anche dopo il fischio finale quando, come da recente tradizione, il San Paolo, stracolmo, canta “Un giorno all’improvviso”.
Ovviamente non è la canzone in se che mi guasta la serata, anzi. E’ uno spettacolo per gli occhi e le orecchie. No, è quello che la canzone rappresenta. La rabbia (se preferite fate pure l’invidia) fa da combustibile e la mente aggancia pensieri e li inanella in un rosario di dolore rossonero. Giocano a calcio da dio – vincono – l’entusiasmo cresce – la gente riempie lo stadio – i giocatori si esaltano e giocano meglio – vincono – cantano la loro canzone – i giocatori vanno sotto la curva e cantano con il pubblico. Un circolo virtuoso permesso da un altro circolo virtuoso imposto da una dirigenza, antipatica quanto volete, ma che ha saputo dare un bilancio sano alla squadra e che le permetterà di arrivare in Champions e fare altri acquisti per poter giocare ancora meglio il prossimo anno.
E cantare ancora il loro bellissimo coro.
Il Milan, o quel che ne avanza, è appena andato al cospetto dell’Uefa con il cappello in mano a negoziare il proprio debito. Siamo proprio sicuri che il Milan voglia presentare il proprio bilancio all’organismo europeo che dirige il calcio all’inizio della stagione prossima? In termini sportivi su traduce con un settimo posto ed una bella sconfitta in finale di Coppa Italia.
Merda.
Non solo la Juve, come ho scritto qualche giorno fa, è ormai lontana anni luce ma lo sono anche la Roma ed il Napoli. E, forse, anche la Fiorentina con il suo bilancio striminzito ma con quel suo modo piacevole di giocare a calcio.
E’ solo un coro da stadio. Ma è anche la misura dell’abisso che ci separa in otto facili versi.
Un giorno all’improvviso
Mi innamorai di te
Il cuore mi batteva
Non chiedermi perché.
Di tempo ne è passato
E sono ancora qua
Ed ora come allora
Difendo la città
Da quanto tempo il vecchio cuore rossonero non batte più?
Andatevene, maledetti
Pier
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